Riportiamo l’intervista a Gennaro Ranieri, Responsabile direzione acquisti di Sport e Salute, pubblicata sul magazine “The Procurement – Procurement 4.0” (Anno 4 Numero 4) nella sezione Parola al CPO
La prima volta che mi sono avvicinata al mondo del procurement mi è stato detto che «nessuno nasce con l’obiettivo di lavorare nella funzione acquisti» e, in effetti, molti dei manager che ho incontrato fino ad ora sono diventati Cpo quasi per caso, perché si trovavano nel posto giusto al momento giusto, o perché a un certo punto del loro percorso professionale hanno scoperto di avere le qualità per quel ruolo.
Le generalizzazioni, però, sono fatte per essere smentite, in questo caso, da Gennaro Ranieri, Cpo del Coni, che ha accolto The Procurement e i suoi ospiti allo Stadio Olimpico di Roma, per ospitare il Procurement & Innovation congress, realizzato lo scorso luglio.
«Dopo la laurea in Economia e Commercio», mi ha raccontato Ranieri, «ho iniziato da subito a lavorare nell’ambito degli acquisti pubblici, prima in due importanti Soa (Società Organismi di Attestazione), poi per conto di stazioni appaltanti, come Anas e Poste Italiane, rivestendo ruoli sempre più importanti di direzione e coordinamento, fino a diventare Cpo del Coni.
Anche la mia tesi di laurea era incentrata sul mondo degli appalti e acquisti pubblici.
È un settore che mi è sempre piaciuto particolarmente, fin dagli studi. Poi c’è voluta un po’ di fortuna e perseveranza e, non essendo un settore ambito da molti, con la giusta dose di volontà e preparazione ho trovato terreno fertile».
Quali sono gli aspetti peculiari del Public Procurement?
La peculiarità è fondamentalmente una, quella di gestire e spendere soldi pubblici.
Si è assoggettati a una serie di regole che nel corso degli anni sono diventate sempre più stringenti dal punto di vista degli adempimenti. Mentre nel privato, un errore o una dimenticanza possono essere penalizzanti ma rimangono circoscritti nell’ambito nel rapporto tra datore di lavoro e dipendente, nel pubblico si è sottoposti al controllo di tutti gli enti preposti, che nel corso degli anni sono aumentati, dalla Corte dei conti, all’Anac, al collegio sindacale, all’organo di vigilanza.
È una materia che, come si sul dire, scotta, e non bastano la buona fede, la capacità, le conoscenze.
Lavorando tanto e con poche risorse, è chiaro che qualcosa può sfuggire e questo può ripercuotersi sulla propria carriera,
sotto il profilo dei danni erariali fino a incorrere in procedimenti penali.
Cosa vuol dire gestire gli acquisti del Coni?
Chiaramente, operare nell’ambito sportivo è già assolutamente peculiare. Il Coni rappresenta la “mamma” di tutte le federazioni sportive e, come tale, non solo deve assolvere ai propri compiti e alle proprie attività di approvvigionamento, ma deve vigilare anche su quelli delle proprie federazioni. A questo si aggiunge che il Coni non compra solo per soddisfare le
proprie esigenze ma acquista e svolge delle attività in nome e per conto dei propri stakeholder, come ad esempio le due società di calcio della capitale, Lazio e Roma, che usufruiscono settimanalmente dello stadio, che quindi deve sempre essere ai massimi livelli di pulizia, sicurezza e funzionalità.
Spesso certe esigenze sono incompatibili con i tempi delle normali attività degli acquisti pubblici ed è in questo che il Coni si deve strutturare, per dare risposte chiare ed efficienti ai propri interlocutori, che siano le squadre di calcio, il tennis, l’ippica, il rugby.
Il Coni, non solo organizza i propri eventi, come nel caso delle Olimpiadi, ma affianca le varie federazioni nell’organizzazione delle proprie manifestazioni sportive, il che comporta necessariamente delle fonti di spesa che gestiamo noi in prima linea, sempre rispettando le procedure degli appalti pubblici.
Dal punto di vista della trasformazione digitale, come considera il livello raggiunto?
Quello del Coni, lo considero molto buono. Siamo partiti quattro anni fa praticamente da zero e adesso siamo pienamente digitali. Tutte le gare e le interlocuzioni con i fornitori avvengono su piattaforma telematica che ci consente celerità, trasparenza e piena efficienza.
Ormai, manca solo un ultimo tassello, quello del vendor rating, la valutazione delle performance dei fornitori aggiudicatari, su cui stiamo iniziando a lavorare e che sarà gestita anch’essa totalmente in formato digitale.
Nel suo intervento al congresso Procurement & Innovation, ha auspicato la creazione di una community anche per il Public Procurement.
Io la chiamerei, anche se è una parola forte, sindacato. È arrivato il momento, non lo dico solo io ma anche i colleghi di altre importanti stazioni appaltanti, di far sentire la propria voce.
Molto spesso abbiamo solo incassato le nuove norme e i nuovi adempimenti nati per rispettare e salvaguardare principi importanti, come la libertà degli incanti, della concorrenza, dell’anticorruzione, ma a discapito della funzionalità stessa delle stazioni appaltanti.
Ad esempio, ho sentito molti colleghi che si troveranno in notevole difficoltà con l’entrata in vigore, dal 15 gennaio 2019, del regime dei commissari di gara esterni, che non solo comporteranno una nuova voce di spesa per la stazione appaltante ma anche ulteriori allungamenti dei tempi di gara, perché potranno provenire da qualunque regione d’Italia.
Ecco perché auspico un’associazione che possa essere chiamata in causa in materia di Codice degli appalti.
Norme stringenti e di difficile applicazione, è un problema solo italiano?
La fonte dalla quale derivano le norme è la stessa, sia per l’Italia che per gli altri paesi europei, trattandosi di direttive comunitarie che devono essere recepite e applicate da ogni Stato membro.
Sono certo, però, che negli altri Stati questa esagerazione nell’applicazione troppo stringente e difficilmente applicabile di queste norme non trovi luogo. Altrove, il Codice degli appalti è molto più fruibile e semplice da attuare.