A quattro anni dai lockdown globali, le catene di approvvigionamento dell’industria stanno lentamente migliorando, ma rimangono tutt’altro che stabilizzate. Secondo il rapporto di Reichelt elektronik, giunto alla sua quarta edizione, le aziende continuano a fare i conti con una serie di problematiche complesse: colli di bottiglia, interruzioni, visibilità limitata, preoccupazioni di sicurezza e, soprattutto, il lievitare dei costi dei componenti. La questione, tuttavia, si estende ben oltre i confini italiani: l’intero panorama internazionale della supply chain resta vulnerabile a una combinazione di fattori economici, politici e logisitici.

Lo stato attuale della supply chain globale

Il sondaggio, che ha coinvolto 250 aziende industriali italiane, ha rilevato che il 74% delle imprese ha riscontrato interruzioni “significative o moderate” nella catena di approvvigionamento nell’ultimo anno. Sebbene la media dei giorni di fermo macchina sia scesa a 17 giorni nel 2024 rispetto ai 32 del 2023 e ai 44 del 2022, quasi la metà delle imprese (48%) ha dovuto sospendere la produzione per almeno 20 giorni a causa della mancanza di componenti. Tra i materiali più difficili da reperire ci sono i pezzi di ricambio per dispositivi e macchinari (40%), sensori (40%), semiconduttori (38%) e utensili industriali (27%).

Fattori che ostacolano la ripresa: componenti, energia e geopolitica

Tra i principali ostacoli che impediscono un ritorno alla normalità figurano l’aumento dei costi energetici, le tensioni geopolitiche e le fluttuazioni economiche globali. Gli elevati prezzi dell’energia si sono rivelati uno dei principali costi per le imprese italiane, con quasi il 70% degli intervistati che indica i costi energetici come un grave ostacolo.  A questo si aggiungono i timori legati a possibili escalation di conflitti, come quello in Ucraina, che ha reso instabili molti mercati europei e globali, e le crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea, che complicano ulteriormente le prospettive di recupero della supply chain.

La risposta delle imprese: diversificazione e regionalizzazione

Per contrastare queste difficoltà, molte imprese hanno adottato strategie di diversificazione e regionalizzazione. Dal report emerge che un numero significativo di aziende ha aumentato i propri livelli di scorte per evitare crisi di approvvigionamento, mentre altre stanno cercando fornitori alternativi, puntando su partnership locali e riducendo la dipendenza da fornitori internazionali. Circa un terzo delle aziende italiane ha optato per soluzioni a breve termine, come l’incremento delle scorte, e il 46% prevede di continuare questa strategia fino al 2025.

La regionalizzazione delle forniture sta prendendo piede, con il 32% delle imprese che ha già diversificato verso fornitori locali, cercando di ridurre il peso delle catene globali e dei rischi associati. Questa mossa non solo aumenta la resilienza contro crisi esterne, ma permette anche di migliorare i tempi di consegna, riducendo la vulnerabilità a situazioni imprevedibili a livello internazionale.

Sicurezza digitale e conformità normativa: nuovi driver della supply chain

Un altro elemento che sta influenzando la gestione della supply chain è la crescente attenzione alla sicurezza digitale. Circa il 29% delle aziende italiane ha attuato nuove misure di sicurezza informatica per proteggere le proprie catene di approvvigionamento da attacchi digitali, con il 46% che prevede di intraprendere azioni simili nel prossimo anno. Le normative, come la direttiva europea sulla due diligence, spingono le imprese a valutare attentamente i fornitori per garantire la conformità a requisiti etici e ambientali, con il 26% che ha già cambiato un fornitore per rispettare questi obblighi.

Le aspettative delle imprese italiane per il futuro

Molte imprese italiane stanno chiedendo interventi governativi per affrontare meglio le sfide attuali. Tra le principali richieste emergono la protezione dalle pratiche concorrenziali estere, in particolare dai concorrenti cinesi che beneficiano di sussidi statali, e la riduzione della burocrazia che spesso rallenta le operazioni aziendali. La possibilità di aprire nuovi mercati con Paesi africani e del sud-est asiatico è considerata una soluzione strategica per compensare la dipendenza dall’Europa e da altre economie avanzate.