Diverse aziende della moda sono state accusate di caporalato e sfruttamento lavorativo nelle loro catene di fornitura. La complessità e frammentazione delle filiere rendono difficile monitorare le condizioni di lavoro, ma deve esserci maggiore impegno per le aziende e la volontà di rinunciare ai profitti. Anche se non è ancora applicabile, la nuova direttiva Csdd aiuterà a prevenire queste pratiche, ma è essenziale da oggi aumentare la trasparenza e prevenire lo sfruttamento lungo tutta la supply chain.

Le accuse di sfruttamento e caporalato

Dopo Armani, Alviero Martini e Loro Piana, anche Dior è sotto i riflettori e accusata di caporalato. Il Tribunale di Milano, dopo un’indagine coordinata dai Pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e condotta dai carabinieri, ha disposto l’amministrazione giudiziaria nei confronti di Manufactures Dior, ramo operativo di Christian Dior Italia, parte della casa madre francese del gruppo Lvmh.

Queste realtà sono ritenute incapaci di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo lungo la loro catena di fornitura del ciclo produttivo e di prendere “misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative, ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici”.

La centralità della filiera della moda

Le catene di fornitura della moda sono frammentate e coinvolgono più entità nel processo di produzione, inclusi fornitori di materie prime, produttori, subappaltatori, fornitori di servizi logistici e rivenditori. Poiché ciascuna entità opera in modo indipendente, tracciare l’intera catena e monitorare le condizioni di lavoro, le pratiche ambientali e la qualità dei prodotti in ogni fase è una sfida per i marchi i cui prodotti vengono realizzati.

Le catene di approvvigionamento sono complicate e coinvolgono sofisticati impianti di produzione, varie forme di trasporto, manodopera qualificata e una miriade di normative in tutto il mondo. Una gestione efficiente della catena di approvvigionamento può aumentare i margini di profitto delle aziende di moda di diversi punti percentuali, ma nei casi evidenziati per mantenere bassi i costi di produzione ci si è avvalsi di manodopera a basso costo ricorrendo a lavoratori in nero e illegali.

Contromisure e azioni contro lo sfruttamento

Loro Piana ha annunciato mesi fa la conduzione di azioni sul campo in Perù per il controllo della propria supply chain in loco, al fine di garantire la corretta ripartizione e redistribuzione delle somme versate alle organizzazioni. Ma in generale, i marchi di moda devono aumentare la trasparenza lungo tutta la loro catena di fornitura mappando tutti i subappaltatori e rivelando le loro identità al pubblico.

È essenziale condurre un’accurata due diligence per valutare le pratiche lavorative dei subappaltatori e i marchi dovrebbero includere clausole nei contratti con i fornitori che vietino esplicitamente lo sfruttamento del lavoro, il lavoro minorile, il lavoro forzato e altre pratiche non etiche. Tali contratti dovrebbero inoltre delineare le conseguenze in caso di inosservanza, compresa la risoluzione del rapporto commerciale.

Regole chiare oltre la discrezionalità: la direttiva Csdd

Seppure sia necessario che le aziende predispongano dei controlli volontari in loco, è chiaro come la questione della compliance dei fornitori sia sempre più un fattore da implementare oltre la discrezionalità della singola impresa o settore e che non bastano più gli audit sporadici o le autocertificazioni. Come stabilito anche nella direttiva Csdd sulla due diligence, entrata in vigore a maggio, le aziende sono responsabili degli impatti negativi delle loro attività sui diritti umani e sull’ambiente e devono garantire il rispetto delle norme. La direttiva verrà applicata in modo graduale a partire dal 2027 e sarà a pieno regime dal 2029. Non è quindi ancora applicabile e in futuro riguarderà le società con più di 1.000 dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato.

Ma come ricorda su Esg News Rita Santaniello, avvocata dello studio Rödl & Partnersin, “da subito le imprese devono attrezzarsi per integrare un effettivo ed efficace sistema di risk management esteso alla filiera, provvedere a un monitoraggio concreto dei propri fornitori e accompagnarli con il proprio supporto e sostegno (in termini economici e di know-how) lungo un percorso di transizione verso un modello di business più sostenibile che parte proprio dal presidio della compliance.”