L’Osservatorio appalti verdi di Legambiente e Fondazione Ecosistemi ha presentato il VII Rapporto sull’andamento dell’applicazione del Green public procurement in Italia e sui Criteri ambientali minimi (Cam) con i primi risultati del suo monitoraggio civico. A otto anni dall’entrata in vigore di questi obblighi sembra ancora molto il lavoro da fare, in quanto mancano professionisti adeguati, un affiancamento necessario nella stesura dei bandi ma anche imprese idonee a rispondere a determinati requisiti di sostenibilità sociale e ambientale.

L’Osservatorio appalti verdi e le rilevazioni

Dal 2016 vige l’obbligatorietà dell’applicazione dei Criteri ambientali minimi (Cam) nei bandi pubblici come strumento per veicolare i 233 miliardi di spesa pubblica verso la sostenibilità e la transizione ecologica. Come sottolinea il VII Rapporto sull’andamento dell’applicazione del Green public procurement in Italia, di questi miliardi circa un terzo sono stati spesi seguendo le indicazioni delle regole per gli acquisti pubblici verdi per diverse categorie merceologiche di prodotti, servizi e lavori.

L’Osservatorio appalti verdi “prova a raccontare come il Paese affronta la sfida della sostenibilità, che passa dagli acquisti importanti e onerosi che la Pubblica Amministrazione si trova a fare nello svolgimento della sua azione di governo della ‘cosa comune’”. Il giudizio rispetto ai dati delle rilevazioni è piuttosto duro: “In Italia freno a mano tirato sull’applicazione del Green public procurement (acquisti pubblici verdi) e dei Criteri Ambientali Minimi che, a otto anni dall’entrata in vigore, faticano a decollare in maniera strutturata”. A pesare maggiormente sarebbero la difficoltà di stesura dei bandi (secondo 8 rispondenti su 14), la mancanza di formazione adeguata e la carenza di imprese con requisiti idonei.

La valutazione delle politiche

L’indice che misura la valutazione complessiva sull’attuazione di politiche necessarie rileva attraverso un questionario online una performance del campione indagato – 126 amministrazioni pubbliche, tra cui 14 Centrali di Committenza Regionali, 64 enti gestori di 148 aree protette, 41 Asl e 7 Città metropolitane – pari al 62%, con un valore massimo del 79% raggiunto dai Comuni metropolitani e un minimo, pari al 56%, toccato dagli Enti gestori di aree protette. “Nota dolente, la percentuale relativa al monitoraggio degli acquisti, una pratica effettuata solo dal 17% del campione”, sottolinea il rapporto.

I dati migliorano, continua il report, se si considera la conoscenza della pratica degli acquisti pubblici verdi: “[P]er il 98% delle amministrazioni pubbliche la conoscenza e di tale strumento è diffusa, assicurando un primo passo fondamentale per la sua applicazione; seguono, tra le politiche più conosciute e applicate, quelle sul ‘Plastic free’ (57%) e la ‘Formazione’ (56%); più indietro, ma altrettanto importanti, sono i ‘Criteri Sociali’ (47%) e il ‘Gender Procurement’ (46%)”. Nel rapporto viene infatti rilevato, rispetto a quest’ultimo punto, un forte aumento delle politiche per il gender procurement. Ma a parte questa nota positiva, i dati dimostrano come il rispetto degli standard Esg sia ancora piuttosto lontano nel settore pubblico e servano decisi passi in avanti.

Le proposte e i rischi

Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente sottolinea come la promozione di un sistema di acquisti ambientalmente e socialmente preferibile possa “generare un miglioramento in termini ambientali e di diffusione di tecnologie verdi”. Secondo Silvano Falocco, direttore della Fondazione Ecosistemi, sono necessarie però almeno tre azioni per migliorare la situazione: un referente per gli acquisti verdi per ogni pubblica amministrazione; un programma nazionale per formare e affiancare le pubbliche amministrazioni nell’inserimento dei criteri ambientali e sociali; e una task force nazionale in grado di verificare il rispetto dei diritti umani e sociali lungo le filiere di produzione.

Questa settimana si è letta anche la notizia delle perquisizioni del nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza alla sede della Fondazione incaricata di organizzare le Olimpiadi e le Paralimpiadi Invernali del 2026 Milano-Cortina. Una perquisizione nell’ambito della prima inchiesta sull’organizzazione delle prossime Olimpiadi invernali, con le indagini da parte della procura di Milano per l’ipotesi di corruzione e turbativa d’asta in relazione all’assegnazione di un appalto per i servizi digitali. A indagini in corso è presto per dire a cosa porterà questa inchiesta, ma è una notizia che porta a pensare, anche alla luce del rapporto appena discusso, come gli appalti pubblici necessitino in generale di maggiore trasparenza e sostenibilità ambientale e sociale.